La musica sotto il fascismo
Una veloce disamina su come (e chi) si faceva musica durante il ventennio fascista, attraverso alcuni dati e aneddoti.
Finita la prima Guerra Mondiale incomincia anche in Italia la diffusione di dischi e della radio, che introducono per la prima volta anche musica straniera, in particolar modo il jazz (che filtra anche attraverso il cinema sempre più presente sul territorio).
Il fascismo nazionalista anche in ambito culturale e musicale, incomincia ad ostacolare il più possibile la diffusione delle mode e dei cantanti stranieri, partendo dalla radio, dove le canzoni straniere venivano trasmesse solo se tradotte in italiano e interpretate da un cantante italiano.
Basti pensare che nel 1924 una circolare del Partito nazionale fascista ordinava di presentare tutte le canzoni straniere con parole tradotte.
Il cognac diventava “arzente”, il pullover “farsetto”, il nome di Louis Armstrong venne tradotto in quello di Luigi Braccioforte, quello di Benny Goodman in quello di Beniamino Buonomo…».
Il fascismo incoraggiava la diffusione di canzoni in chiave tradizionale, allegre e spensierate, e che davano l’immagine di un’Italia in cui tutto andava bene e la gente non aveva problemi.
Alla fine degli anni Trenta, alla vigilia della seconda guerra mondiale, incominciarono però a diffondersi anche in Italia le Orchestre Ritmiche (Gorni Kramer, Pippo Barzizza con la Blu Star e l’Orchestra Cetra che si contrapponeva a quella più integrata e tradizionale di Cinico Angelini, Rabagliati, il Trio Lescano, Semprini) che proponevano versioni italiane di grandi successi stranieri (il “gez italiano”).
Un’epopea pionieristica che viaggia pericolosamente sul filo tra legalità e controlli ferrei.
Basti pensare a Natalino Otto costretto a cambiare i titoli di “Saint Louis Blues” tradotto letteralmente in “Le tristezze di San Luigi” o “Mister Paganini” che diventò “Maestro Paganini”.
L’EIAR, non passava i suoi pezzi, definiti “barbara antimusica negra”.
L’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) che dipendeva direttamente dal Ministero per la Cultura Popolare, trasmetteva invece prevalentemente canzoni a sfondo patriottico e che inneggiavano all’eroismo, i compositori italiani, sotto strettissimo controllo dal regime, si adeguavano a comporre canzoni ad hoc.
In Italia, alla vigilia della guerra, i possessori di apparecchi radiofonici erano circa 1.200.000, mentre in Germania addirittura 12.000.000.
La distribuzione delle trasmissioni era più o meno divisa in:
50% musica: concerti, musica operistica e da camera, musica da ballo o religiosa
20% interesse politico: notiziari, trasmissioni a fini di propaganda
10% programmi per bambini e pubblicità
10% bollettini metereologici
Arriva la guerra e si stringono ancora di più i cordoni.
Diventa basilare distrarre la gente dalle avversità e sostenere i soldati al fronte
Nascono le canzoni dell’allegria: – Pepè e Papoos (Restelli, 1942), che significa scarpini e scarponi, in dialetto lombardo. – Tuli-tulipan, cantata dal Trio Lescano – Op! Op! Trotta cavallino, (G. Kramer, E. Frati, 1941) – Il Visconte di Castelfombrone, (1941) del Quartetto Cetra.
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