Sofia Coppola e la macedonia sonora di Marie Antoinette.
Fra i registi più attenti al corredo musicale dei propri Film, Sofia Coppola spicca per originalità e perizia. Come già accaduto per Il Giardino delle Vergini Suicide e Lost in Traslation, la bella figlia d’arte si è affidata alla supervisione musicale di Brian Reitzell, maestro nel rendere la musica personaggio fondamentale della narrazione, anche quando non c’è (il silenzio che rimbomba nei magnifici corridoi di Versailles, enfatizzano il gelo con cui la giovane principessa austriaca fu accolta e il disorientamento in un paese straniero). Il suo è un lavoro efficace il cui ascolto si può godere attraverso due CD densi in cui alcuni frammenti di musica barocca sono stati amalgamati a brani tratti, genericamente, dalla scena post-punk, scelta che, fra clavicembali ottocenteschi e sintetizzatori new wave, enfatizza l’irriverenza del personaggio, creandone anche un ritratto musicale.
Marie Antoinette è senza dubbio un’audace rilettura dell’esistenza della giovanissima regina di Francia, passata alla storia per le sue crudeli tracotanze che, forse, un buon analista per adolescenti avrebbe potuto contenere, ma tant’è.
L’attenta fusione della colonna sonora con il film, fa sì che riascoltando i brani, si possa rivivere il percorso narrativo. Apre Gang of Four dei Natural’s Not, graffiante sui titoli di inizio con la principessa che svogliatamente assaggia la crema di una torta, mentre una servetta le infila le scarpe. Si capisce subito che siamo di fronte a una bulla capricciosa i cui impegni istituzionali, storici, sono descritti dalla regista in poche inquadrature che aumentano la propria efficacia poiché accompagnate da I Want Candy dei Bow Wow Wow. La passione per il conte Fersen scivola sul brano rock What Ever Happened degli Strokes, l’insofferenza per il protocollo e la la voglia di divincolarsi dalle regole si spalmano sui toni dark di Hong Kong Garden di Siouxsie and the Banshees e quelli new wave di Ceremony dei New Order. Ogni tanto, per riconciliarsi con l’epoca in cui la storia si è realmente svolta, compaiono i toni più classici ricreati da Dustin O’Halloran, che si affianca a Vivaldi e Scarlatti.
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Questa amalgama virtuosa fra suoni del passato e musica nuova, offre una chiara idea di Maria Antonietta e della Corte che, parola di Coppola, erano vere e proprie icone Pop. Dopo questo film difficilmente possiamo immaginare che le nobili giovinette descritte, non avessero la possibilità di ascoltare Adam & the Ants o i Cure, certo è che l’immagine di Marie Antoinette che ne deriva è, al tempo stesso, fastidiosa e triste: da un lato la si odia, dall’altro si prova pena per una giovanissima lasciata senza cure e guida, immersa nel lusso, isolata, incapace di guardare oltre se stessa. E’ infatti l’occhio della regista, non del personaggio, quello che si sofferma sulla natura che esplode intorno e sceglie, per far dondolare gli occhi sulla bellezza, i brani più malinconici di Aphex Twin e lo strumentale Il secondo giorno realizzato dagli Air. L’epilogo è affidato a All Cats Are Grey: solo i Cure potevano chiudere dando la giusta dose di drammaticità.
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