ALBERTO CANTONE – Il regista e il mediano
Narrare le storie parallele eppure così vicine di Pier Paolo Pasolini e di Luciano Re Cecconi. Far rivere le esistenza del Poeta, dello Scrittore, dell’Intellettuale (del regista, appunto) e del calciatore della Lazio accomunate non solo dalla passione sincera e genuina per un calcio che fu, ma anche da una fine violenta e ancora senza una risposta. É ciò che ha fatto il cantautore trevigiano Alberto Cantone con il brano Il regista ed il mediano, canzone tratta dal suo ultimo lavoro Breve danzò il Novecento. Canzone che ora è anche un video diretto dal regista Alessandro Carlozzo.
«Ho voluto contestualizzare la storia di Pasolini nei luoghi che sono a me più cari – spiega Alberto Cantone – ed è così che, nel video, la periferia di Treviso è diventata uno di quei luoghi che Pasolini conosceva bene, come Tor Bella Monaca, mentre Porto Santa Margherita si è trasformato nel lungomare di Ostia, teatro della fine di Pasolini».
Le suggestioni e le atmosfere di Pasolini rivivono quindi tra i palazzi della periferia di Treviso dove i musicisti che hanno suonato nel disco di Cantone si sfidano a calcio su un tipico campetto fuori dal centro città, in quei luoghi, che il cantautore descrive così nel suo brano: “C’è un viale, un centro e dopo un nulla che è la periferia”. La spiaggia di Porto Santa Margherita, nel video Il regista ed il mediano, diventa invece il teatro dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini, una fine violenta sulla quale non è mai stata fatta luce e che ha visto come protagonista involontario uno di quei “ragazzi di vita e di bordello” che Cantone ricorda nel suo brano.
Nel brano Il regista ed il mediano, tratto da Breve danzò il Novecento, l’ultimo album di Alberto Cantone, il cantautore trevigiano affronta gli anni ’70 del XX secolo ripercorrendo la vita di Luciano Re Cecconi, calciatore della Lazio, ucciso a Roma da un eccesso di difesa di un gioielliere e non da “uno scherzo finito male”, un anno e due mesi dopo l’uccisione di Pier Paolo Pasolini. «Sono due persone – dice Cantone – legate dalla passione per il calcio: Pasolini, infatti, considerava il calcio “l’ultima grande sacra rappresentazione del nostro tempo”. Un intellettuale che amava il pallone, quindi, e un ragazzo di borgata che faceva il calciatore, raccontati con due storie parallele accomunate da una fine drammatica e mai del tutto chiarita, dall’aver subito al tempo il giudizio da parte dei benpensanti di “essersela andata a cercare”».
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