BANDA PUTIFERIO – Piccolo
Banda Putiferio: Piccolo Singolo tratto dall’LP “777” (RadiciMusic/LiprandoProduzioni)
Prodotto da LiprandoProduzioni (Rotterdam)
Produzione esecutiva, allestimento, montaggio e regia di Ex Anima I video production studio (Lugano)
Il luogo: Miniera Marzoli, Pezzaze (Brescia)
La coltivazione dei giacimenti minerari in Provincia di Brescia ha una tradizione millenaria. Le prime attività di estrazione furono intraprese già nell’età del Ferro e proseguirono poi in epoca romana. Nella zona di Pezzaze, di particolare interesse è il ritrovamento di “scorie di fusione” che documentano una diffusa lavorazione del minerale in ambito locale fin dalla preistoria. Nel 1905 la quasi totalità dei dipendenti erano maschi e, in particolare, una statistica di quell’anno documenta la presenza di tre giovani minori di 15 anni e altrettante donne adulte. Nel 1911 si ebbe un incremento della produzione di minerali di ferro, per la presenza di condizioni favorevoli al mercato siderurgico, conseguenti alle richieste derivanti dalle preparazioni belliche. Agli inizi degli anni Venti le generali condizioni dell’economia spinsero le ditte concessionarie a sospendere i lavori. L’importanza delle mineralizzazioni bresciane e bergamasche decrebbe rapidamente: i giacimenti erano sparsi, male ubicati, di limitata potenzialità ed i trasporti si rivelavano troppo costosi. Nel 1927 vennero dichiarate come morte le attività minerarie. Negli anni ‘30 si ebbe un periodo di grande incertezza ma anche di grande combattività per la piccola comunità montana per la riattivazione delle miniere locali. Non mancò l’interesse di alcuni grandi gruppi industriali per le miniere lombarde, potenziali fornitrici di una materia prima da cui era possibile ricavare un prodotto qualitativamente superiore rispetto a quello ottenibile dalle rifusione di rottame. Nel luglio del 1939 l’economia di guerra incentivò l’attività: tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni quaranta si costruirono forni di torrefazione, teleferiche, depositi ed officine. Durante il conflitto mondiale si ebbe un’impennata delle produzioni che cesseranno alla fine della guerra. Con il risveglio economico degli anni ’50 si verificò una nuova ripresa della attività mineraria. Nel 1958 la concessione mineraria passò nelle mani del Consorzio Minerario Barisella, composto dalla Società Falck Acciaierie e Ferriere Lombarde di Milano, dalla Ditta Fratelli Marzoli di Palazzolo e dalla Stabilimenti Sant’Eustachio di Brescia. Esso, pur non cessando la coltivazione di minerali di ferro, si impegnò principalmente nell’estrazione della fluorite, che aveva acquistato nel tempo mercato in quanto utilizzabile nell’industria del vetro, degli smalti e come fluidificante in quella siderurgica; tale attività continuò fino al 1972. L’attività mineraria non era l’unica occupazione dei minatori; infatti, nelle valli bresciane, era frequentemente diffusa la figura del minatore – contadino, il quale lavorava nei campi nella stagione dei raccolti, mentre si dedicava all’attività mineraria limitatamente nei periodi invernali. Questa scelta era dettata da esigenze di carattere tecnico. Si ricorda a titolo di esempio il problema delle venute d’acqua in sotterraneo: durante i periodi primaverili ed estivi, infatti, le miniere erano soggette a numerosi allagamenti, dovuti alle precipitazioni stagionali, che costringevano molto spesso ad abbandonare l’attività estrattiva. Un altro problema, che si aveva soprattutto nel periodo estivo, era la decomposizione del ferro spatico e dell’acido carbonico, processo che rendeva irrespirabile l’aria all’interno delle gallerie, anche perché la ventilazione dei cunicoli era esclusivamente affidata agli accessi con l’esterno. Le tecniche di scavo utilizzate dai minatori , prima dell’avvento dei macchinari funzionanti ad aria compressa, consistevano nella realizzazione di gallerie orizzontali, quando il minerale si presentava in banchi, mentre venivano scavate dal basso verso l’alto quando il minerale si presentava in filoni da subverticali a verticali. Le gallerie erano strette, basse e tortuose perché realizzate con mezzi rudimentali, spesso tramite l’utilizzo del solo piccone. Quando i livelli produttivi erano disposti in banchi orizzontali di resistenza tale da non poter utilizzare i mezzi manuali consueti, i minatori ricorrevano all’uso della polvere nera e delle mine; queste venivano fatte brillare anche per provocare uno spostamento d’aria tale per cui le gallerie più profonde si liberassero dall’aria inquinata dall’acido carbonico. La messa in sicurezza delle gallerie avveniva tramite muretti a secco, pilastri di minerale, puntellature o travature di legno; nonostante questi accorgimenti, gli incidenti dovuti a crolli erano molto frequenti.
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