DANIELE FARAOTTI – Radiomagia
RadioMagia è una brano uscito quasi di
getto. Appena dieci minuti per la parte
strumentale, poche take di
improvvisazione per la parte vocale poi
assemblata nelle sue parti migliori, più
una traccia di ottoni in fase di
completamento. Il testo è stato scritto in
un secondo momento.
RadioMagia racconta di una storia vera,
accaduta negli anni venti del secolo
scorso. Siamo nel New Jersey, qualche
anno dopo le scoperte riguardanti la
radioattività. I prodotti radioattivi che
conquistarono il mercato purtroppo fecero
grandi danni.
Una fabbrica locale assume personale per
la colorazione dei quadranti degli orologi.
Saranno delle giovani donne ad
occuparne i posti, in un momento storico
dove l’occupazione femminile
praticamente era inesistente.
Un’occasione come questa sembrava
essere la felicità di un futuro più agiato e
tranquillo. Tuttavia la storia ci dirà che
quel lavoro sarà pagato con la loro stessa
vita.
Per applicare il radio nei quadranti, le
giovani operaie da prima inumidiscono
con le labbra le setole del pennello per poi
immergerle nella sostanza ed applicare il
radio sui numeri – una pratica che risulterà
fatale. Morirono tutte, tranne quelle che
per una provvida intuizione, si
licenziarono. Le ossa cominciarono a
sgretolarsi e non ci fu più nulla da fare.
Il video però racconta un’altra storia, una
storia strana, un sogno.
Era da tempo che volevo pubblicare una
canzone col supporto video di un cartone
animato.
Ho voluto inventarmi qualcosa. E così, un
po’ alla cieca, ho cominciato a disegnare,
ad articolare questa storia di tre dirigibili
e del loro strano viaggio tra partenze,
imprevisti di percorso e atterraggi da
incubo. Nel video ricopro il ruolo di tutti i
personaggi. Elementi comuni offrono facili
collegamenti a citazioni tratte da film.
Sono nei panni di Oliver Reed che
abbandona il dirigibile in fiamme a bordo
di una scialuppa/mongolfiera come dentro
“Assasination Bureau” (B. Dearden 1969);
precipito dalla statua della libertà al posto
di Norman Lloyd come in
“Saboteur” (Hitchcock 1946). Non muoio,
vengo ricoverato in ospedale come in
“L’inquilino del terzo piano” (Polansky
1976). A trovarmi vengono Roman
Polansky (sempre interpretato da me) e
Isabelle Adijani che del film era la
protagonista. Mentre uno dei tre dirigibili
sorvola la città, la mamma di Antoine
Doinel (e qui cito “I 400 colpi” di F. Truffaut
del 1959) si guarda allo specchio, si
carezza le guance e forse riflette sul
tempo, il tempo che non esiste, ma passa,
passa in fretta.
Ma perché il cartone animato? Perché il
disegno?
Perché come dice Robert Hughes, “Il
disegno non muore mai. Riesce a
sopravvivere perché la fame che soddisfa
– il desiderio di un rapporto attivo,
investigativo, manualmente vivido con le
cose che vediamo e desideriamo
conoscere, è evidentemente immortale”.
Arrivo al disco dal titolo “Phara Pop Vol.
1”: un doppio album che vedrà la luce
prossimamente per Creamcheese
Records e che non conterrà questo primo
singolo.
Come era d’abitudine per i Beatles i
singoli si pubblicano per conto loro…
Beatles docet.
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