David Bowie is
L’11 agosto si è chiusa a Londra una singolare personale dedicata a David Bowie, una mostra culto dal titolo David Bowie is ospitata nelle sacre stanze del Victoria & Albert Museum. Oltre 300 pezzi esclusivi, quasi tutti forniti dall’artista, una collezione formata da pagine di testi, disegni, fotografie, abiti di scena, strumenti musicali e bozze di idee: un successo anticipato, con quasi 50.000 biglietti venduti già in prevendita.
Il percorso della mostra è un’emozione allo stato puro, una galleria del tempo per vivere la crescita dell’artista attraverso le sue mirabolanti trasformazioni: la tuta in vinile nero di Tokyo Pop, opera di Kansai Yamamoto, accoglie il visitatore, con questo forte impatto immediato, la mostra ci avverte subito che stiamo entrando nell’intimo dell’artista che più di tutti ha mostrato che si può essere ciò che si vuole. Un buon promemoria!
I curatori della mostra hanno composto un’opera certosina, il visitatore vede e ascolta Bowie lungo tutto il percorso, grandioso bagno di emozioni, con immagini ammiccanti in perenne movimento dal maxischermo che fa rivedere il pianeta blu del malinconico Ziggy Stardust, ideale Virgilio di questa cammino.
L’istallazione londinese racconta David Bowie esattamente come noi lo abbiamo sempre rappresentato a noi stessi: eclettico, originale, sorprendente, rivoluzionario, anche se la sua rivoluzione non è mai una cesura, ma sempre e solo una presa di coscienza, di sé, della società, con qualche decennio di anticipo.
Le teche rimandano chiaramente il legame fra l’artista e il mondo della moda, quella volontà un po’ fashion, che può far storcere il naso ai più crudi, che ha portato Bowie a costruire la sua icona con abiti di scena straordinari firmati da Natasha Korniloff, Alexander McQueen, Giorgio Armani, testimoni e interpreti delle sue trasformazioni.
Sia come sia, il marmo del Victoria & Albert Museum trasuda del genio del Duca Bianco, dal video della sua prima esibizione a 16 anni, al talento artistico come pittore, passando per le visioni oniriche dei grandi spettacoli, ma sempre di musica si tratta, di quella prodotta, inventata, creata in 47 anni, 27 album in studio, 150 live e 140 milioni di dischi venduti e che avvolge il visitatore lungo tutto il percorso.
A quale senso dare maggior peso, dunque? Farsi prendere dalle immagini o dal suono della sua musica? Forse è meglio cedere, essere multisensoriali e lasciar spazio al sentire, non solo quello delle orecchie, ma quello più profondo che emoziona davanti al fascino unico di David Bowie mentre ci guarda dalle foto di Helmut Newton, John Rowland o Herb Ritts, per, infine, farci uscire cantando Space Oddity: provare per credere!
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