GIOVANNI CARNAZZA – Che la vita ti sia lieve
è una canzone di un amore non del tutto compiuto. Farla uscire il 14 Febbraio è un regalo, un modo per dichiarare a questa ragazza che avrei voluto passare questo giorno e il resto della mia vita con lei. Non c’è tristezza nel provare emozioni. Vivere significa aprire il proprio cuore e il provare sofferenza non è altro che la testimonianza dall’autenticità di ciò che si è vissuto. Capisco chi ha paura di amare. L’amore fa paura. Aprire il nostro cuore però è la più grande possibilità di crescita che abbiamo.
Testo e musica: Giovanni Carnazza
Direttori artistici: Giovanni Carnazza, Gabriele Duregon
Chitarre: Lorenzo Reggio
Basso: Daniel Mastrangelo
Missaggio e Mastering: Gabriele Duregon
Videoclip
Montaggio: Lucas Procopio
Ufficio Stampa: LeSiepi (lesiepii@gmail.com)
C’è stato un momento in cui sono arrivato a rinnegare tutto, tutto l’amore che avevo provato per questa persona. Un momento durato esattamente quarantotto ore, durante il quale ero riuscito a estirpare dalla mia mente tutti i ricordi creati insieme. L’autenticità del nostro rapporto era diventata una mia illusione e il dolore che avevo provato fino a quel momento, mi raccontavo, derivava dal mio aver creato una realtà fittizia e aver finalmente aperto gli occhi. Allo scoccare della quarantanovesima ora, qualcuno mi poggiò una mano sulla spalla, sussurrandomi: “quello che provi non è solo tuo, altrimenti non avresti dovuto far fronte a tutta questa sofferenza”. L’impatto con quella verità fu devastante: il mio cuore si aprì a metà e il mio corpo fu percorso da un fulmine che, dalla terra, corse lentamente dentro di me fino alla testa per tornare nel cielo, lì da dove era improvvisamente venuto. A quel punto, non rifiutai più nulla. Accolsi i bei ricordi. Accolsi quelli brutti. Vidi il mio corpo piegarsi e gli occhi riempirsi di lacrime. Vidi uscire dallo squarcio che avevo sul mio petto parte della persona che ero, accettando l’inevitabile trasformazione che stava avvenendo in me. Sarei stato più lo stesso? Saremmo stati più qualcosa? In fondo, aveva davvero importanza?
Una volta accettato quel dolore, qualcosa iniziò a prendere forma dentro di me. Sapevo fosse una canzone ma avevo paura di darle una forma. Avevo paura delle mie emozioni in quel momento. Ero un caleidoscopio di sensazioni che facevano fatica a trovare il loro posto. Ero attraversato da rabbia, delusione e dispiacere e non volevo rendere concreti quei sentimenti. La domenica prima della vigilia di Natale, quando mi alzai, capii che era arrivato il momento di confrontarmi con quella massa informe che ormai conviveva in me. Presi la chitarra e fu così che passai la giornata a fissare su carta tutto quello che provavo. Scrissi di una ragazza che era scappata, sfuggita come un soffio di vento tra le mani in una fredda notte d’inverno. L’amore non era finito. Di fatto, l’amore non sarebbe mai finito ma la paura aveva eretto un muro intorno al suo cuore e non c’era stato modo di scalfirlo in alcun modo. Posai la chitarra, chiusi il quaderno e il mio cuore si sentì leggero. Il macigno che era cresciuto nel mio petto aveva trovato pace. La musica era riuscita ancora una volta a rendermi libero.
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