Glory
Arriva così, in un crescendo che sveglia l’entusiasmo, spinge fuori l’orgoglio buono e punzecchia l’anelito eroico che c’è in ognuno di noi, forte, dirompente come tutte le volte che le note si mettono in fila per sostenere il ricordo di qualcosa di grandioso. Bravo John Legend che ci riesce bene con “Glory”, la canzone che ha realizzato con il rapper Common (in questo momento i due sono il miglior esponente del conscious rap e del movimento neosoul) e che si è aggiudicata l’Oscar come miglior canzone di quest’anno. Ispirata alla marcia per il Movimento dei Diritti Civili del 1965, indetta da Martin Luther King per chiedere l’uguaglianza di diritti tra bianchi e neri in Alabama, la canzone si riallaccia, purtroppo, all’attualità dei fatti di Ferguson del luglio 2014, quando Eric Garner, massiccio contrabbandiere di sigarette di New York, è stato soffocato preterintenzionalmente dalla polizia all’atto dell’arresto. Da allora la frase di Garner “I cant’t breathe”/”non riesco a respirare” è diventato lo slogan della comunità di colore contro gli eccessi delle forze dell’ordine.
I percorsi per l’uguaglianza e il rispetto della persona nella sua totalità, nei suoi diritti, nella sua essenza fisica e spirituale sono tanto lunghi, ancora tanto, per questo l’esecuzione di “Glory” da parte del duo al Dolby Theatre di Los Angeles, ha meritato la standing ovation da parte di tutto il pubblico, ma anche da coloro che erano lì a lavorare, assistenti, cameraman, inservienti e il momento di maggior entusiasmo è legato al discorso di ringraziamento dei due artisti:”Nina Simone ha detto che il dovere di un artista è parlare del tempo in cui vive. E Selma è attuale perché la lotta per la giustizia è attuale. Viviamo nel Paese con più carcerati al mondo. Ci sono più uomini di colore in prigione oggi di quanti erano ridotti in schiavitù nel 1850″.
Tutto questo si può dire con una canzone.
https://soundcloud.com/johnlegend/glory-ft-common
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