Intervista a CRISTINA DONA’
RadioCoop ha il privilegio e l’onore di poter ospitare sulle sue pagine un’intervista esclusiva a CRISTINA DONA’ in occasione dell’uscita del nuovo album “Così vicini” di cui segue la recensione
Cristina Donà – Così vicini
Tra le autrici e voci più particolari della scena musicale italiana, molto parca e attenta nelle sue produzioni (questo è il settimo album in 17 anni) ma generosa nelle numerosissime collaborazioni con artisti nostrani ed internazionali, CRISTINA DONA’ arriva, dopo tre anni di silenzio, ad un nuovo eccellente lavoro.
“Così vicini” ritrova l’immediatezza e la spontaneità degli esordi, un linguaggio sonoro diretto e più asciutto, un approccio più ponderato e malinconico nella poetica che conferma la maturità e lo spessore della Donà.
Brani come la title track o la veloce e travolgente “Siamo vivi” sono i vertici dell’album che vive però interamente di una verve e di un fuoco che è raro ascoltare sui nostri lidi.
I tuoi album escono generalmente con pause relativamente lontane l’uno dall’altro. Hai spiegato una volta che è a causa del tuo perfezionismo, Confermi ?
Anche “Così vicini è stato “vittima” del tuo perfezionismo ?
Un po’ si, diciamo che me la prendo comoda perchè non voglio fare uscire qualcosa se non ne sono convinta.
Tranne in un caso non ho mai avuto tempi rigidi che mi hanno costretta a forzare la scrittura o la composizione dei brani.
Nel caso di “Così vicini” c’è stato molto tempo rispetto al precedente “Torno a casa a piedi” ma ho scritto anche tante canzoni per altri, a parte anche la vita privata che è abbastanza impegnativa.
Perfezionismo si ma anche tanto lavoro e ho ritenuto di poterlo pubblicare solo quando era completato e tutto a posto.
Io ho trovato “Così vicini” più immediato, diretto, asciutto.
La cosa buffa è che c’è chi lo trova più difficile e chi lo trova più immediato.
Io ho lavorato nella scrittura dei testi affinchè fossero molto diretti il che non significa che fossero capiti subito ma che come caratteristica non fossero troppo lunghi e che contenessero un po’ di spunti che volevo più diretti possibile.
L’idea è legata ad una conversazione a due, idea arrivata piano piano, non a priori, però vedevo che uscivano brani sempre in quella direzione come se volessi amplificare questa conversazione ma senza troppi giri di parole. Ho dovuto quindi asciugare molto il linguaggio che tra l’altro è una cosa che mi piace fare visto che nella vita normale non ci riesco mai.
E’ una cosa che ho detto subito a Saverio (Lanza, principale collaboratore e co-autore dei brani), venendo da un album molto ricco musicalmente, è stato quello di fare un altro tipo di percorso, come spesso mi capita.
Mi fa piacere che tu abbia questa impressione.
Chi era partito e mi aveva conosciuta dal precedente album, con sonorità e un linguaggio più “spensierati” ha trovato questo album un pochino più ostico. Chi invece mi segue da prima ha ritrovato in questo lavoro quell’asciuttezza che negli ultimi album non c’era.
I brani “Il tuo nome”, “Corri da me” e “Siamo vivi” sono uniti come se appartenessero ad una piccola suite.
E’ una scelta sonora o testuale ?
E’ una scelta sonora, soprattutto tra “Il tuo nome” e “Corri da me”.
In realtà scopri delle cose a posteriori che non hai scelto consciamente ma che hanno dei legami e che ti hanno portato a fare delle scelte quasi a livello subliminale.
“Il tuo nome” e “Corri da me” li abbiamo uniti perchè ci sono dei “la la la” in entrambi, diversi metricamente ma che una volta fatta la scaletta mi sono accorta che pur essendo affini quelli di “Il tuo nome” sembrava “spingessero” quelli iniziali di “Corri da me” e quindi…e poi è una cosa che non avevo mai fatto nei miei album.
Sembra stupido farlo perchè quasi nessuno ascolta più un album dall’inizio alla fine ma quelli che lo fanno magari lo apprezzano.
Anche il legame tra “Corri da me” e “Siamo vivi” è una scelta sonora ma in realtà c’è anche un’affinità nel testo: si parla di pianeti nello spazio e questa sospensione amplifica anche un po’ le domande che ci sono all’inizio di “Siamo vivi”: da quanto non ti fermi ? da quanto tempo ?
Facendo questi esperimenti di scaletta che in realtà è stata molto facile da fare questa volta – di solito ci impiego delle settimane, mentre questa si è composta un po’ da sola – ho scoperto che c’erano per me dei legami di significato anche legati alla canzone oltre che di suono.
Sei nata e cresciuta a Milano ma ti sei poi trasferita nella profonda provincia.
Cambia l’approccio compositivo vivendo “ai margini” territoriali di dove per antonomasia succedono le cose e si fa musica ?
Io ho incominciato a scrivere canzoni mie quando mi sono trasferita in campagna e vorrà dire qualcosa.
Anche se le prime non avevano molto a che fare con la natura però questo territorio mi ha dato la possibilità di suonare grazie anche ad una serie di coincidenze si è creata una rete di locali.
La mia prima esibizione con chitarra e voce è stata nel 1991 in apertura degli Afterhours ma non facevo ancora miei brani.
Poco dopo suonai nel tuo locale a Piacenza (il Beethoven ndr) con Carnival of Fools e Afterhours e fu lì che vidi una mostra di disegni ispirati a un libro di Claudio Galuzzi (poeta e scrittore) e leggendo quella sera una sua poesia dalla raccolta “La pianura dentro” mi venne voglia di scrivere una mia canzone.
All’inizio di quel libro c’era qualcosa che aveva a che fare con una piccola faccia e infatti poco dopo è nato il brano “Piccola faccia” che è poi finito in “Tregua” (album d’esordio di Cristina del 1997).
A un certo punto ho avuto proprio il bisogno di scrivere cose mie e se nel primo album la natura non è proprio presente da “Nido” in poi ci sono invece tantissimi riferimenti. Un po’ perchè uso la natura come metafora, un po’ perchè quando vado a camminare ritrovo quel silenzio che non abbiamo più neanche abitando isolati perchè comunque abbiamo un collegamento internet, ad esempio. E comunque, senza voler fare il guru, ne voglio parlare affinchè le persone prendano coscienza su quanto ci siamo allontanati dalla natura, dal paesaggio, dal fatto che la sentiamo come qualcosa che non ci appartiene, quando in realtà siamo noi che apparteniamo alla natura e dovremmo ritrovare il giusto rispetto, visto che è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo.
E’ un tema che mi è molto caro.
Sei partita dalla scena indipendente per poi approdare ai piani più alti della discografia.
Quanto cambia, se qualcosa cambia ?
Quando sono passata dalla Mescal alla EMI, tra l’altro tramite la Mescal che vendette il catalogo ed alcuni artisti al roster della EMI, un po‘ avevo paura, ma che è passata subito perchè ho capito che nessuno pretendeva e ha mai preteso cose diverse da quelle che proponevo.
Avevo fatto un certo tipo di percorso e quello che portavo lì era la mia identità, non quella di qualcunaltro o qualcosa da trasformare.
Ci sono delle chiavi che le major hanno in più rispetto alle piccole etichette, vedi ad esempio per SanRemo o alcune trasmissioni TV o per le radio.
La mia scelta di pubblicare questo album è comunque attraverso piccole entità (ad esempio il master è mio perchè con il mio manager abbiamo deciso di investire in base a dei conti che abbiamo fatto).
Le cose sono cambiate un po’ negli ultimi anni.
Ad esempio gli anticipi (che le case discografiche corrispondo agli artisti prima dell’uscita dell’album ndr) che fanno un po’ la differenza non sono più così significativi e in più adesso sono rimaste solo tre grosse case discografiche e uscendo con loro devi fare i conti con tutto il grande catalogo che loro hanno con tutte le uscite che devono promuovere e quindi rischi di prendere pochi soldi e di essere promossa per un tempo breve, non per cattiveria ma per questioni logistiche.
E così stavolta con Qui Base Luna e altre realtà abbiamo deciso di fare da noi.
Ad esempio RadioDeeJay che aveva passato brani dei precedenti dischi non ha mandato “Così vicini”.
Temo che dipenda dall’appartenenza alla major.
Hai incontrato tantissimi personaggi della musica con cui hai collaborato.
Chi ti ha più impressionato come artista, umanità etc ?
Al di là dei miei produttori che amo tantissimo ancora adesso sicuramente Robert Wyatt.
Se metti insieme la sua umanità, la sua generosità e lo spessore artistico che ha e anche le difficoltà di vita che ha incontrato e che incontra tutti i giorni devo dire che lui mi ha insegnato tantissimo, mi ha mostrato un lato della musica e degli esseri umani, tutto collegato insieme che non è facile trovare.
Mi reputo fortunata ad aver lavorato sempre con persone molto disponibili ma se vogliamo considerare anche la fama è veramente il caso di un artista fuori da ogni logica, nel bene ovviamente.
La band ideale con cui ti piacerebbe suonare (valgono anche i defunti…)
Intanto, se posso osare, mi piacerebbe molto avere al mio fianco Lucio Battisti, poi alla batteria Matt Johnson che suonò in “Grace” di Jeff Buckley, lo stesso Jeff alla chitarra e al basso Paul McCartney.
L’inevitabile lista di dischi da portare sull’ isola deserta
Innanzitutto un disco che ho ascoltato molto negli ultimi anni, anche se non so se mi creerebbe più incubi che altro, ma che mi è piaciuto molto e si chiama “Tamer animals” degli Other Lives.
Non vorrei fare la giurassica ma non è facilissimo trovare cose nuove dopo che sono anni che ascolti di tutto, sai quando ti dicono “Senti questi” “Ma veramente mi sembrano i Led Zeppelin”, che tra l’altro è un altro gruppo che prenderei volentieri come backing band. Poi un’antologia di Battisti, un disco dei REM, magari “Green” che mi piace molto, una bella antologia di De Andrè e “Blue” di Joni Mitchell che mi mette di buon umore.
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