STEFANO LENTINI – Fury
Il compositore romano, noto in tutto il mondo per le colonne sonore per registi come Wong Kar-Wai (The Grandmaster), Giacomo Campiotti (Bakhita, Braccialetti Rossi), Carmine Elia (La Porta Rossa) e per aver collaborato a film premiati negli Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Brasile, Ucraina, Hong Kong, unico compositore italiano, insieme ad Ennio Morricone, ad essere rappresentato dall’agenzia hollywoodiana The Gorfaine/Schwartz Agency, presenta il suo progetto solista come “un modo alternativo di vivere la musica che chiamiamo classica. Non c’è nulla di classico in un violino e non c’è nulla di moderno in un sintetizzatore” prosegue, “la modernità e la classicità dipendono dall’attitudine”. Un mondo dove tasselli apparentemente incompatibili danno vita a forme nuove, personali: “Io mescolo le carte, vivo con lo stesso spirito il metal, il klezmer e Antonín Dvořák”.
Fury nasce da un’esperienza personale, esplora il territorio della rabbia umana, giunge a soluzioni musicali rivoluzionarie.
Prodotto in collaborazione con pluripremiato ingegnere del suono inglese Geoff Foster (Pirati dei Caraibi, Dunkirk, Interstellar), parla di rabbia e redenzione, dove l’esperienza individuale si plasma in materia collettiva, in un viaggio dove sfera emotiva e razionale trascendono, polverizzando buonismi consolidati. Dando via libera alla follie, in un racconto dadaista fatto di elementi meticolosamente geometrici, Fury raccontato è “un percorso dentro la sofferenza che provoca la Furia, la sua comprensione, il suo contatto, la sua integrazione in qualcos’altro”. A confermare questo concetto, vi è l’ unico estratto che si intreccia a parole, Les Fleurs Du Mal, concepito come esplorazione di un’intimità che fa paura, nel nebuloso conflitto tra sapori interiori differenti. Elegante come un quadro decadente, il brano in lingua francese fa capolino tra le pieghe dell’album, racchiudendo la sua essenza più primitiva. Il pezzo, più che omaggio a Baudelaire, è per il musicista “una rivisitazione dei suoi Fiori del Male. Per Baudelaire i Fiori del Male erano gli oggetti scabrosi dell’amore. Io ho voluto prendere quanto di più scabroso ci sia oggi al mondo ed usare lo stesso titolo di una censura di 150 anni fa. Cos’è scabroso oggi? La Memoria“.
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