“Something (you don’t need)” si pone come aspra critica alla società dell’apparire, che ci spinge a dover essere sempre esteticamente “perfetti”, secondo canoni prestabiliti, cosa che comporta una graduale perdita dell’individualità, della propria personalità e unicità, a favore di un “conformismo estetico” che ci rende l’uno copia dell’altro, concetto ripreso anche nella cover art del singolo.
«Nella cover art, la testa di manichino simboleggia la perdita di personalità derivata da un fare conformista, mentre le parti del viso, capelli, occhi, bocca, incollate sul volto impersonale e vuoto, rappresentano il tentativo, fallimentare, di trovare una propria personalità utilizzando parti del corpo altrui, per influenza esterna e non per propria scelta, nel tentativo di emulare personaggi eretti a modello dalla società, una società che ce li fa percepire inarrivabili, irraggiungibili, solo per ricordarci qual è il nostro posto; sullo sfondo, o sul fondo».
Il video che accompagna il brano, diretto da Alberto Cammarano e interpretato da Giulia Sarubbi, riprende e sottolinea il concetto.
«Una ragazza, che non riusciamo mai a vedere interamente in volto, si trucca, prima di uscire in una Milano alienante. Alienante come lo sono le grandi città, dove l’individuo si perde tra la folla e tra i grattacieli, diventando un uno in mezzo ai tanti, un prodotto della società in cui vive, un ingranaggio di una macchina che ci vuole tutti insicuri, per poi poterci “rassicurare”. Alla fine, cerchiamo di essere “perfetti” esteticamente per non sentirci inadeguati a un mondo che vuole farci sentire inadeguati; un mondo che ci rende insicuri per poterci più facilmente manipolare e, al contempo, spingerci a colmare quel senso di inadeguatezza attraverso ciò che altri hanno deciso possa in qualche modo renderci appagati».
Registrata interamente da SOLO presso il The Bordello Rock ‘n’ Roll Studio e mixata e masterizzata da Edoardo Di Vietri presso l’Hexagonlab Recording Studio, “Something (you don’t need)” è il secondo singolo estratto, dopo “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”, dall’album “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, di prossima pubblicazione.
«Da ascoltatore onnivoro, ho sempre apprezzato gli album dove più generi coesistono tra di loro; penso al “White album” dei Beatles, ad esempio. “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” sarà un album molto variegato, con canzoni che vanno dalla psichedelia all’art rock passando per il punk, il dream pop, lo shoegaze, il grunge, la dance».
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