Hugo Pratt e il ritratto di Paolo Conte
Nell’era degli Mp3 la copertina di un album in uscita diventa sempre più un elemento secondario dell’opera intesa nel suo insieme. Peccato! Sarebbe davvero interessante se si ricominciasse a dare spazio e fantasia alla creatività, se le case discografiche spingessero per aver immagini e opere d’autore, al posto di tante artiste in posa sensuale, o peggio in ostentata duck face e artisti con fare da bel tenebroso. Per fortuna qualcosa di piacevole c’è, sarà occasione di approfondimento.
Nel frattempo, dall’album dei ricordi salta fuori una bella copertina, quella di Parole d’amore scritte a macchina, disco che apre gli anni ’90 di Paolo Conte e che riporta sul frontespizio un ritratto del cantautore astigiano, opera di Hugo Pratt.
Una copertina eterea, per un disco che lo è a sua volta: i toni ridotti, il fascino del minimalismo sia nei testi scarni, sia nelle melodie apparentemente semplici, si riverberano anche nell’abito del disco. Un tempo funzionava così: il genio del musicista diventava ispirazione per il pittore, che per analogia o per contrasto creava la copertina. Hugo Pratt racconta il disco e il suo autore, riflette per immagini il messaggio della musica, sceglie un fondo rosso/arancio e ritrae Paolo Conte a carboncino nero, uno schizzo in cui l’avvocato è perso in mezzo alle donne della sua fantasia e alla sua musica. Pratt è essenziale, ma narratore incredibile, non ha avuto bisogno di disegnare ciò che chi guarda la copertina vede: il mondo di Conte, il suo genio che viaggia tra fumo di sigaretta e ticchettio di tasti. Sembra un passaggio naturale, all’improvviso è come se i mondi dei due artisti si fondessero, diventa difficile non popolare di immagini prattiane le storie di Conte e viceversa. Il ritmo è lo stesso.
Formidabile!
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