Obey, l’adesivo virale che crea icone

C’è una storia interessante che parte dal faccione di Andrè The Giant, pugile francese affetto da gigantismo, ritratto in bianco e nero e stampato in migliaia di copie su un adesivo, quindi appiccicato in giro per tutta la California.

L’adesivo si diffonde come un virus, mezzo formidabile di uno stile grafico unico e riconoscibile che sul finire degli anni ’80 dà vita a Obey Giant, un fenomeno pubblicitario, modaiolo e culturale che ha come padre Franck Shepard Fairey, grafico di talento che dal 1989 al 1996 ha stampato e ritagliato oltre un milione di adesivi, prima di passare il lavoro alle tipografie e diventare un fenomeno planetario. Oggi, a distanza di un ventennio Obey è soprattutto il manifesto di Obama con la scritta Hope.

Un percorso originale quella di Obey, forse unico nel suo genere, infatti è il fenomeno a diventare marca, non è la marca a diventare fenomeno commerciale, sarà per la genialità inarrestabile del suoi ideatore che comprende molto in fretta il valore del passaparola: distribuisce agli amici che diffondono a loro volta, quindi appiccica i suoi adesivi dove la pulizia stradale non può arrivare, si arrampica sui pali della luce o semplicemente salta per raggiungere il punto più alto dei muri in strada o in metropolitana.

Riconoscibile, desiderato, il marchio Obey diventa un must, nasce la linea di abbigliamento, il modo migliore di indossare questa arte: magliette, cappellini, pezzi che nascono da una grande sapienza nell’arte serigrafica, con uno stile grafico ispirato al Costruttivismo russo. Obey infatti nasconde un artista politico, un rivoltoso dell’immaginario che digerisce la propaganda sociopolitica con il guerrilla marketing, capace di dondolare fra il commerciale e il gesto artistico con estrema disinvoltura.

  

Sono, infatti, famosissime le serigrafie di questo artista, descritto da molti come il nuovo Andy Warhol, soprattutto quelle che ritraggono figure autoritarie come come Nixon, Mao e Bush e icone della rivolta come Angela Davis e il Sub comandante Marcos. Da Warhol, Shepard Fairey ha appreso anche la visione ampia dell’arte come antenna di connessione a una scena culturale a tutto tondo. Come il creatore della Pop Art, che aveva ideato la copertina del primo album dei Velvet Underground, Shepard Fairey ritrae a marchio Obey, icone punk quali Jonny Rotten e Joey Ramone; come e prima di Vicki Berndt, diventa un ritrattista rock e si sdogana nel mondo musicale firmando il manifesto del festival Lollapalooza, producendo una spettacolare serie di magliette per un tour dei Black Sabbath, ideando un poster di Chuck D dei Public Enemy.

  

L’azienda cresce, il marchio si arricchisce di nuova originalità, il suo ideatore non smette di attaccare adesivi in giro, giusto per non dimenticare le origini e nel frattempo non smette di associare la propria arte al lavoro dei musicisti cui è più legato, comprendendo che la diffusione di un CD è un volano pubblicitario formidabile. Firma così la copertina dell’antologico Mothership dei Led Zeppelin, folgorati dall’opera di Shepard Fairey dopo un anno di ricerche fra fotografi, grafici e illustratori: il suo book nel tempo si è arricchito di chicche da antologia, da Sid Vicious a Johnny Cash passando attraverso Prince camuffato da Che Guevara, per approdare al leone ruggente che griffa i SuperHeavy di Mick Jagger, Dave Stewart, Joss Stone, Damian Marley e A.R. Rahman.

  

Insomma nell’opera di Franck Shepard Fairey c’è la visione di un artista che sarebbe riduttivo definire autore di un marchio: Obey è diventato uno stile che sguazza nel brodo di questi tempi in cui il marketing può diventare lo strumento, perché no, per sdoganare uno stile. Se poi per te lavora un certo Spencer Elden, allora sei pure un marpione.

Ah, chi è Spencer Elden? Mica vi sarete dimenticati del neonato che insegue una banconota nella foto di copertina di Nevermind dei Nirvana? Sì, sì, proprio lui!

Elena Miglietti

Giornalista, appassionata di Medioevo e pallavolo, scrive favole. Per Coop ha coordinato per diverso tempo la redazione piemontese del periodico Consumatori, essendo anche membro della redazione nazionale. Da anni racconta l'esperienza delle cooperative Libera Terra, che lavorano le terre confiscate alla malavita dell'entroterra corleonese. E' fra i promotori del S.U.S.A. Collabora con Radiocoop dal 2010.

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