Prosegue il racconto surreale della band anonima Escape to the Roof con il videoclip Fried Blues Chicken, primo singolo estratto del nuovo album, in uscita a breve. Sceneggiatura, progetto grafico, animazione sono a cura di Maria Cangemi, la produzione è di SaganaS.
“Nel videoclip – racconta il regista – attraverso l’essenziale duello tra linee bianche e nere viene a galla lo scontro tra il bisogno umano di osservare l’abisso e il terrore di caderci dentro aggrappandosi al pollo fritto, che però è unto. Il testo del brano e le immagini scorrono accanto toccandosi, a tratti, per poi tornare a percorrere il proprio sogno che si agita sulle stesse note.”
Ecco una approfondita ed esaustiva descrizione nel dettaglio da parte della band dopo accurato dibattito con il regista: “Fondo bianco e fondo nero, linee bianche, linee nere. Fondo bianco. Una linea nera. Linea, linea. Una linea. Una linea nera. Linea. Linea linea linea. Linea, linea. Linea nera, una linea nera, nera, linea nera. Linea nera linea linea linea nera, linea. Linea linea nera nera. Una linea nera. Nera linea nera. Una linea? Nera. Fondo nero. Una linea bianca, linea, linea bianca. Bianca linea, linea bianca bianca. Linea linea linea bianca. Linea bianca, linea linea, bianca bianca. Bianca linea bianca.”
Il singolo Fried Blues Chicken è il primo manifesto degli Escape To The Roof in cui propone una metafora della vita, sulla società, sulla produttività in batteria, che parte dalle parole di Margaret Heffernan che riprende lo studio sui polli di un biologo evoluzionista della Purdue University, William Muir: “Muir s’interessava di produttività, una cosa che penso riguardi tutti noi, ma che nei polli è facile da misurare perché basta contare le uova. Voleva sapere come rendere i suoi polli più produttivi, così escogitò un bell’esperimento. I polli vivono in gruppi, quindi ne selezionò una colonia media e la lasciò crescere per sei generazioni. A questo punto, creò un secondo gruppo composto dagli individui più produttivi, che chiameremo ‘superpolli’. Questi furono riuniti in una super colonia, selezionando da ogni generazione soltanto gli individui più produttivi. Dopo sei generazioni, indovinate cosa scoprì? I polli del primo gruppo, quello medio, se la passavano benissimo. Erano tutti belli grassottelli e ben piumati e la produzione di uova era aumentata notevolmente. E il secondo? Tutti morti, eccetto tre superstiti che avevano beccato a morte tutti gli altri.”
La band ha scelto l’anonimato, nomi di fantasia, e non vuole rendere pubblica la biografia, le identità e le foto dei componenti, ciò che oggi invece sembra essere imprescindibile per l’industria musicale. Lo scopo ultimo è fare in modo che chiunque ascolti i singoli o il disco, si concentri il più possibile sulla scrittura, sul messaggio, sulla composizione, sui testi, sulle emozioni, sui temi di questo progetto discografico, in particolare sulle sonorità degli anni d’oro del rock, come atto di una vera “insurrezione”, per riscoprirne il valore profondo: “La storia ci ha insegnato – racconta G.C. Wells, leader della band – che dissociare la biografia dell’autore dall’atto artistico non altera la possibilità di fruire, in tutta la sua potenzialità, il messaggio che da esso deriva, anzi credo sia l’unica cosa rimasta da fare come atto di nuova insurrezione rispetto a quello che ci circonda, così da aiutare l’ascoltatore a individualizzare meglio e a interpretare il messaggio per quello che è oggettivamente.
“Sicuramente il mondo non ha bisogno di ulteriori figurine da collezionare. C’è un sovraffollamento di figurine senza precedenti, e a dirla tutta io non mi sono mai sentito una figurina in mezzo alle altre figurine. L’idea di rivolgere un gesto artistico alla mercificazione tritatutto dello show business non è il mio mondo, per cui rispettare le leggi che regolano quest’industria non è nei nostri piani. Certo non siamo così ingenui da pretendere di restarne fuori e allo stesso tempo fare arrivare a più fruitori possibili il nostro lavoro. Ma pensiamo che fare un passo indietro, mettere al centro la musica distaccandosi dall’apparenza, alle volte possa significare prendere una rincorsa più lunga per spiccare un salto più alto. Riteniamo che sia l’unica maniera per fare diventare l’atto artistico arte collettiva”, prosegue il leader della band
In questa scelta, che nasce dall’urgenza interiore di fare un passo indietro e recuperare determinati valori che ormai sono dimenticati, la finzione ha un ruolo determinante come fonte di conoscenza. L’intreccio fantasioso delle biografie dei componenti della band (G.C.Wells, vocals, guitars; Jann Ritzkopf VI, guitars, soundscapes; Zikiki Jim; bass; Canemorto drums), che verranno raccontante man mano nel corso dei prossimi capitoli, fa parte del gioco: “non siamo in preda agli spasmi romantici della nostra arte, e non abbiamo perso l’abitudine o il gusto del divertimento, anzi. Le storie di contorno fanno parte del gesto artistico in tutto e per tutto. È opinione abbastanza condivisa che le opere letterarie, e quindi, la finzione possa essere molto importante, se non addirittura fondamentale quale fonte di conoscenza.
Non vuole essere certo la mera sostituzione della biografia reale dell’autore con la fiction quale sacrificio da immolare sull’altare dell’anonimato, ma è certamente qualcosa di più. Gli antichi greci scrivevano le tragedie con lo scopo dichiarato di educare il popolo per il tramite della catarsi. Noi non ci arroghiamo il diritto di mistificare così in alto, vogliamo semplicemente giocare con la materia narrativa e descrittiva, che sia di natura musicale, letteraria, teatrale ecc., senza preoccuparci troppo che questo possa innescare confronti da sostenere con illustrissimi predecessori, o con l’incertezza che ci sia qualcosa che non si possa sperimentare per paura di dissacrare, o peggio, col timore di sconfinare in “territori occupati” da altri artisti.”
Commenti recenti