Paul McCartney – The lyrics: 1956 to the Present
Uno dei migliori (IL migliore?) libri musicali di sempre.
Anche se pertinenza soprattutto dei più profondi conoscitori di Paul e Beatles, contiene spunti imperdibili e storie uniche e importanti.
Estratto da cinquanta ore di conversazioni con il poeta Paul Muldoon, raccolte tra il 2015 e il 2020, “The Lyrics” è un monumentale (doppio) volume di 900 pagine arricchito da incredibili e inedite memorabilia, estratte dal suo archivio di oltre UN MILIONE di pezzi.
Paul parla di 154 brani che ha firmato, dai Beatles a oggi.
E’ ironico, colloquiale, schietto, talvolta nostalgico, molto amabile nel raccontare in modo disarmante una delle carriere artistiche e umane più entusiasmanti degli ultimi 100 anni.
I brani sono in ordine alfabetico e quindi le storie si intrecciano, si salta dalla fine degli anni 50 agli 80, si torna ai Beatles, si corre ai Wings.
Non di rado i brani sono semplici facciate B di dimenticati 45 giri dei Wings o oscuri momenti di dischi minori.
Paul racconta di quelli dedicati ai suoi animali, il cane Martha (“Martha My dear”), il pony Jet (“Jet”) o alla sua jeep (“Helen Wheels”).
Quando in “Obladi Oblada” parla di Desmond, fa riferimento a Desmond Dekker e non a caso il brano è su un ritmo ska.
Il padre di Paul, Jim comprò il suo pianoforte da Henry Epstein, padre di quel Brian che anni dopo divenne mentore e manager dei Beatles.
Quando decide di comporre una “canzone scozzese” perché constata che ci sono solo tradizionali, scrive “Mull of Kyntire”, consapevole che nel 1977, in piena esplosione punk sarebbe stato ignorato. Diventa il 4° singolo più veduto di sempre in UK e un classico.
Ci parla della sua infanzia proletaria (orgogliosamente più volte rivendicata), di come nelle sue canzoni ci siano spesso doppi sensi, messaggi nascosti, riferimenti colti, derivati da letture e studi, altri semplicemente e volutamente sciocchi.
C’è spesso il ricordo commosso di John e una lettura lucida dei loro contrasti.
Inserisce accordi (vedi “Michelle”) solo perché “ci stanno bene”.
“Ticket to ride” si riferisce anche a Ryde, sull’isola di Wight, dove i giovani Paul e John andarono in autostop a trovare gli zii di Lennon.
L’aspetto più interessante è la descrizione di come compone, come scrive, come si ispira ed è bellissima la rivelazione che segue:
“Con i Beatles non sapevamo leggere o scrivere la musica, così ce la inventavamo.
Molto di quello che abbiamo fatto è derivato da un profondo senso di meraviglia e non dallo studio. Non abbiamo mai davvero studiato musica”.
Un libro definitivo che sviscera ulteriormente il mondo beatlesiano, prezioso proprio perché i quattro di Liverpool hanno rappresentato uno dei momenti più importanti nella storia del rock. Divertente perché Paul lo sa essere con uno humor particolare e personale, entusiasmante perché ci porta nelle profondità più oscure del suo mondo.
“Il bello dei Beatles è che eravamo una piccola band maledettamente brava.
Tutti e quattro sapevamo come accompagnarci l’un l’altro e suonare insieme e questa era la nostra forza. Con “Get back” volevo fare tornare la band agli esordi.
Ma far rivivere i Beatles di una volta non era possibile.
Era troppo tardi per consigliare di non dimenticare chi eravamo stati e da dove eravamo venuti.”
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