SKoM – Penelope
Il secondo estratto da “Chi Odi Sei” è un’opera dal montaggio claustrofobico basata su ripetizioni, colori saturi e bianco e nero, reverse e ambienti degradati. Il tutto a rappresentare la nevrosi e la disperazione portata dal sentirsi costretti all’interno dei rigidi ruoli costruiti sul mito, espressione in questo caso di qualunque forma di convenzione, tradizione, gabbia culturale o fisica.
“Fra le nove diverse manifestazioni di violenza declinate nell’album ‘Chi Odi Sei’, Penelope rappresenta quella paradossale forma di odio nei confronti di chi si ama (o più in generale verso chi ci sta accanto).” Presentano così gli SKoM – al secolo Ester ‘La Cruz’ Santacroce (chitarre, voci), Gianluca ‘Graeme’ Grementieri (chitarre, voci) e Martin Rush (basso, synth, beats, voci) – il nuovo video “Penelope”, secondo estratto dal disco “Chi Odi Sei” uscito per Pippola Music / Audioglobe lo scorso 9 giugno.
“Penelope” è un clip firmato dalla band stessa e da Gabriele “Niagara” Ottino e ambientato in due simbolici luoghi fiorentini: il Sottopassaggio de Le Cure e il Teatro del Cestello a S. Frediano. Un’opera dal montaggio claustrofobico basata su ripetizioni, colori saturi e bianco e nero, reverse e ambienti degradati. Il tutto a rappresentare la nevrosi e la disperazione portata dal sentirsi costretti all’interno dei rigidi ruoli costruiti sul mito, espressione in questo caso di qualunque forma di convenzione, tradizione, gabbia culturale o fisica. La rottura degli schemi prefissati da parte di Penelope – che si ribella al destino assegnatole – provoca una reazione ossessiva, violenta e soffocante.
“Penelope” è una delle canzoni di “Chi Odi Sei”, un lavoro – uscito per Pippola Music lo scorso giugno – che si focalizza su quella Magna Grecia istintiva e ancestrale di cui siamo discendenti, culla di una violenza coltivata per affermarsi, quella stessa che guida le nostre sorti, oggi come allora. Gli evidenti riferimenti all’Odissea, in una sorta di noise-post punk omerico, sono un pretesto per disegnare figure di decadente miseria in cui l’odio è l’unica strada per uscire dalle bare spirituali o reali in cui sono sepolte vive.
Il senso del primo disco sulla lunga distanza degli SKoM sta proprio nel tentare di rappresentare l’odio latente e la violenza sottotraccia insite nell’indole dell’Occidente – marchio costante e banale che fa da sfondo alle vite di tutti – utilizzando il filtro dell’epica classica ed immergendo i brani in un sound che fa da ponte di collegamento fra la stagione d’oro della new-wave fiorentina e le derive più arty dell’alt rock contemporaneo.
Le Arpie, Circe, Polifemo, Scilla Nausicaa e la stessa Penelope diventano così figure contemporanee protagoniste di canzoni in italiano, inglese e dialetto siciliano che rispecchiano appieno l’anima della band, che si definisce come “l’alone slabbrato del buco di una bruciatura. Ma anche il cerone messo di fretta per coprire un difetto, un vizio. O il trucco che rende ancora più evidente l’errore.”
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