La storia dell’applauso
Uno dei gesti più naturali e riconoscibili nel suo significato ma dalle mille varianti, l’applauso è il primo segno del livello di apprezzamento per ogni artista/musicista.
Ed è anche il momento più temuto alla fine di ogni brano o spettacolo per ogni protagonista sul palco.
L’intensità o la carenza della stessa, sono gli indicatori del gradimento di quanto proposto. E nel malaugurato caso che venga a mancare cambia parecchio l’umore (e le sorti artistiche) degli interessati. Lo sparuto clap clap che arriva da in fondo la sala è in grado di distruggere in un attimo mesi di prove e di speranze.
Da spettatori spesso andiamo a ruota di chi ha il “coraggio” di iniziare e ci accodiamo, anche se non mancano i momenti in cui, travolti dallo spettacolo, ci lasciamo trasportare senza remore e diamo inizio al tributo sonoro.
Un gesto dalle origini antichissime (antropologicamente considerato come metafora di un abbraccio manifestato a distanza), già in uso nel teatro greco nel V secolo a.c., dove si esprimeva approvazione con rumori, battendo i palmi e pestando i piedi.
Plutarco racconta che alcuni commediografi retribuivano profumatamente gruppi di persone distribuite nel teatro e le istruivano sui momenti della commedia in cui far partire, contemporaneamente, fragorosi applausi. Grazie a questo espediente il commediografo greco Filemone di Siracusa riuscì a battere spesso l’avversario Menandro.
L’usanza si propagò successivamente anche a Roma dove i figuranti dall’applauso facile erano nominati “Laudiceni”.
Ma l’uso è già presente nei Salmi risalenti all’ XI secolo a.c. In cui si incitava i popoli a battere le mani e mandare urla di gioia a Dio.
Nell’antica Mesopotamia veniva utilizzato, sempre in modo poco ortodosso, per coprire le grida delle vittime sacrificali durante i riti religiosi.
I Romani lo importarono riservandolo ai gladiatori che combattevano nell’Arena, soprattutto per sottolineare i momenti più cruenti ed efferati.
Nell’antica Roma c’erano diversi modi di applaudire: con i tradizionali palmi delle mani ma anche schioccando pollice e indice o scuotendo il bordo della toga.
Nel III secolo invece che la toga l’apprezzamento pubblico fu sostituito dallo sventolìo dell’orarium, fazzoletto usato dai più abbienti per proteggere bocca e naso dai cattivi odori della città.
L’imperatore Aureliano fece distribuire l’orarium ai cittadini più poveri perché “non fossero mai sprovvisti di un modo per lodarlo”.
L’imperatore Augusto arrivò a regolare gli applausi, imponendo un disciplinatore che dava il segnale di inizio e le ultime sue parole sul letto di morte furono “La commedia è finita, applaudite!”.
Sempre nell’antica Roma l’applauso assunse un particolare valore politico.
Il livello sonoro o l’entusiasmo del gesto diventarono, come al giorno d’oggi, un termometro per valutare la popolarità dei vari politici tanto da diventare un’imposizione (e si sa che ai tempi non scherzavano con chi non si allineava…) per quando sfilava un imperatore o un condottiero. Usanza che ritroviamo intatta ai giorni nostri.
Cicerone sguinzagliava varie persone intorno ai luoghi di giochi e spettacoli (più o meno nel ruolo di sondaggisti) per capire quali fossero i personaggi pubblici con maggiore consenso, proprio in base agli applausi ricevuti.
Nerone finanziò con 400 mila sesterzi ciascuno, oltre cinquemila figuranti per applaudirlo durante le sue (notoriamente discutibili) esibizioni canore.
Anche la Chiesa successivamente introdusse modalità di apprezzamento di suoi rappresentanti attraverso l’applauso. L’applauso pagato fu pratica normale e diffusa per secoli. Nelle corti Cinquecentesche vigeva la regola che nessuno potesse battere le mani più a lungo del Principe o del Re. Mentre successivamente all’apparire dei primi teatri tornò in auge l’uso della claque (dal francese claquer, battere schioccando). Nell’800 a Parigi aprirono agenzie specializzate che fornivano professionisti che potevano applaudire, ridere a comando, richiedere bis, inneggiare all’artista o discreditare con fischi e urla avversari e concorrenti.
Nel 1919 per inneggiare i cantanti d’opera alla Scala il prezzo era di 25 lire a testa per gli uomini e 15 per le donne.
Per tornare alla politica rimane famoso (anche se non pienamente verificato) l’ingresso di Stalin ad un congresso del Partito Comunista Sovietico, salutato da dieci minuti di applausi ininterrotti con la platea in piedi, perchè nessuno si azzardava ad essere il primo a interromperli. Lo fece un delegato che decise di sedersi e mettere fine all’ovazione.
Poi fu arrestato.
A questo proposito l’“applauso alla russa”, in cui l’oratore si unisce all’applauso del pubblico, nato e diffuso nel Comitato centrale del P.C.U.S. in Unione Sovietica, stava a significare che il merito di un buon intervento è collettivo.
Nel 1950 le trasmissioni americane più popolari (in particolare quelle comiche) incominciarono a venire infestate da applausi o risate finte e ripetute a comando, lanciando una pratica regolare e risaputa in tutto il mondo televisivo.
Era un’invenzione di Charles Douglas, un tecnico del suono che inventò la Laff Box (scatola della risata, Laff è una contrazione di Laugh, risata, in inglese) che sottolineava, artificiosamente, le battute ritenute più significative e divertente, guidando in questo modo il gusto del pubblico.
In Italia venne introdotta dalle reti Finivest, negli anni 80 con la trasmissione comica “Drive In”, contemporaneamente alla scalata al potere dei socialisti di Craxi (eletto per acclamazione alla segreteria di partito, ovvero per unanime applauso, pratica aspramente stigmatizzata da Norberto Bobbio nel suo saggio “La democrazia dell’applauso”).
Forse è questo uno dei motivi per cui l’applauso è esondato dal significato abituale, diventando una costante anche in contesti assolutamente anomali e inadeguati.
Dall’insopportabile e ingiustificato momento di atterraggio di un aereo (e perchè no al capo macchinista di un treno o al guidatore di autobus o taxi?) a quello scabroso in molti funerali.
Il primo a ricevere questo trattamento fu Totò nel 1967 a Napoli e successivamente anche Anna Magnani a Roma.
C’è un illustre precedente ovvero Dante che venne accolto all’Inferno dai dannati a “suon di mani”.
L’applauso più lungo accertato è quello tributato al celebre tenore spagnolo Placido Domingo, durato un’ora e venti minuti, alla fine della sua interpretazione dell’Otello di Giuseppe Verdi, il 30 luglio 1991, nel famoso teatro lirico di Vienna, lo Staatsoper.
Il pubblico, dopo aver esaurito la forza per battere le mani, proseguì ad acclamare il tenore battendo i piedi.
Il cantante spagnolo, che ha interpretato quest’opera oltre 200 volte, è stato richiamato in scena 101 volte; ma è Luciano Pavarotti che detiene il record delle chiamate alla ribalta: ben 165, a Berlino nel febbraio del 1988, dopo aver cantato l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Per lui però “solo” un’ora e sette minuti di applausi.
Invece Bryan Bednarek è riuscito a battere le mani in un applauso frenetico 802 volte (12 volte al secondo) in un minuto, battendo il precedente record del Guinnes dei primati di 721. Il cantante portoghese Tony Carreira è uno dei più amati in patria, autore di decine di album che gli hanno fruttato 4 milioni di copie vendite (cifra esorbitante per una terra con pochi abitanti).
Il 20 giugno 2009, in un concerto nel Parque da Bela Vista a Lisbona, ha conseguito il primato per il più forte applauso mai registrato.
I 22.000 spettatori intervenuti sono riusciti a battere le mani fino a toccare i 111 decibel, l’equivalente del rumore di un aereo in fase di decollo.
E infine una curiosità che abbraccia l’ambito della superstizione.
Vige la vulgata tra i musicisti in studio di registrazione di non accompagnare mai ritmicamente i propri brani con un applauso ( il “clap”) perchè porterebbe sfortuna. Sostanzialmente battersi le mani da soli è in contrasto con ciò che dovrebbe fare il pubblico.
Tra l’altro il modo migliore per riprodurre fedelmente il suono del battito di mani in studio di registrazione è percuotersi le cosce con i palmi delle mani, preferibilmente indossando un paio di jeans.
Effetto garantito, vi assicuro!
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