Grunge, una parola patetica, semplicemente bellissima.
Capita talvolta di essere testimoni inconsapevoli della nascita di un fenomeno, se poi si ha con sé una macchina fotografica, allora la testimonianza diventa documento e si ha la fortuna di scrivere un pezzetto di storia. Succede in ogni ambito, dal reportage di guerra che valse il Pulitzer al fotografo Nick Ut, autore dello scatto simbolo della guerra in Vietnam, quello con la bambina, Kim Phuc, che scappa nuda dal suo villaggio, ai meravigliosi occhi verdi di Sharbat Gula, donna afgana fotografata da Steve McCurry, che ci osserva dal 1984 dalla copertina del National Geographic.
Questa storia inizia nei primi anni ottanta, quando il fotografo Michael Lavine si trova a Seattle. Mescolandosi ai giovani punk locali riesce, quasi per caso, a documentare gli albori di quello che anni dopo verrà battezzato grunge: una moltitudine di influenze punk, hard core, garage, metal, realtà differenti accomunate dal senso di ribellione e di insofferenza verso i modelli sociali e musicali dell’epoca.
Nato a Denver Lavine si trasferisce a Seattle nel 1982, affascinato dall’energia e dall’immaginario punk e comincia a fotografare, con la sua Leika M2, i ragazzi punk lungo la University Avenue, “The Ave”, quelli che stazionavano vicino ai negozi di dischi come Cellophane Square o Bombshetter, il futuro Fallout. Scatti classici in bianco e nero, senza divagazioni sperimentali, istantanee di un ragazzo entusiasta che gironzola per strada, prima di un viaggio in Europa, prima di andare a New York, prima di accorgersi, sei anni più tardi, di aver assistito alla formazione di un embrione.
Formatosi all’ombra del fotografo Francesco Scavullo, Michael Lavine diventa una versione punk del suo maestro e firma copertine per gli album dei White Zombie, Pussy Galore, Sonic Youth, le etichette lo cercano, gli artisti lo amano. Cambia lo stile, comincia la sperimentazione con filtri e colori psichedelici. Eccolo quindi firmare lavori per Smashing Pumpkins, Pearl Jam e alcune pietre miliari di quell’epoca come Life After Death di Notorius B.I.G., pubblicato due settimane dopo il suo assassinio.
Quando Bruce Pavitt lo invita a Seattle per fotografare le band che stava radunando per l’etichetta Sub Pop, Lavine sta per immortalare Soungarden, Mudhoney, Nirvana, The Hole, L7, sta preparando senza saperlo, le immagini che recheranno la didascalia “artista grunge”. Eh sì, quel termine mica tanto bello, talvolta definito patetico, quel cappello sotto cui si radunano quei ragazzi che non trovano congeniali le movenze del metal pataccaro, o i capelli rasati dei musicisti hardcore. Quel nome nato dalla distaccata genialità di Megan Jasper dello staff della Sub Pop, che alle domande del New York Times risponde in modo vago, sancendo il distacco intellettuale del movimento dai media e che ha in Kurt Cobain, scalzo, senza Doc Martens da costume punk, con i suoi capelli lunghi e disordinati, sopra chiari occhi tristi, la sua icona.
Commenti recenti