IL PESCE PARLA – Pastura
approccio punk (sia musicalmente che nell’irriverenza dei testi) con uno stile teatrale/cabarettistico, alternando brani di grande impatto ritmico e violenza chitarristica, con ballate “storte” semiacustiche.
approccio punk (sia musicalmente che nell’irriverenza dei testi) con uno stile teatrale/cabarettistico, alternando brani di grande impatto ritmico e violenza chitarristica, con ballate “storte” semiacustiche.
Smussa le atmosfere goth dark dell’esordio, pur mantenendosi su coordinate sonore ed espressive oscure, comunque ascrivibili all’ambito post wave/post punk, con anche sferzate grunge ma che si concede incursioni anche in contesti più pacati e malinconici.
In bilico tra elettronica, che diventa anche industrial (vedi la conclusiva “Animal no manual), canzone d’autore, sguardi a Bjork, sperimentazione, voglia di non adagiarsi su cliché risaputi.
Come sempre un brutale assalto sonoro, spietato, tra oscura psichedelia, doom, hard, stoner, metal, noise, sludge.
Sound personale, dai sapori hard rock/grunge (Guns N Roses, Audioslave e Soundgarden) e rock blues (Rivals Sons e Black Crowes in primis)
Sound abrasivo in canzoni che spaziano da assalti ritmici di estrazione punk rock a ballate ruvide, acide e sghembe di sapore lo-fi.
Come sempre le compilation viaggiano tra alti e bassi a seconda dei gusti. In questo caso il livello è sempre più che alto e l’album di ottima fattura.
I quattordici brani autografi calcano i sentieri solidi della tradizione rock americana (da Bruce Springsteen al Dylan più elettrico, fino a John Mellencamp e Creedence Clearwater Revival).
Undici brani dall’incedere severo e solenne che guardano alla new wave anni Ottanta (tra John Foxx, primi Human League, Gary Numan) ma con un approccio melodico (“Ostile” ad esempio) che riporta a Robert Wyatt.
Le atmosfere sono in perfetto equilibrio tra asperità chitarristiche, fruibili melodie malinconiche e uno sguardo alla lezione della canzone d’autore nostrana.
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